Cari genitori,
dovete dire "NO" |
È proprio vero
che, oggi, i "no" costano tanto? Perché?
Costano di più, è vero, e i genitori hanno perso
per strada il proprio ruolo. I motivi di questo fenomeno sono
molti; uno importante sta sicuramente in quella propaganda delirante
che ha preso corpo a partire dagli anni Sessanta. Si diceva: il
bambino è un piccolo adulto, lo si de-ve ascoltare, lui
ci può insegnare
Tutte considerazioni positive, ma
che hanno spinto len-tamente a orientarsi verso un permissivismo
esasperato. Oggi ne raccogliamo i frutti, come la cronaca dimostra
quotidianamente. A Milano, l'altro giorno, alcuni ragazzini hanno
pic-chiato un compagno per derubarlo della motoretta: per loro
"volere" una cosa significava, automaticamente, averla.
Come si è giunti a questo punto?
Vi si è giunti perché la tentazione è sempre
quella di ragionare per rivoluzioni. In Italia è senz'altro
andata così e forse anche altrove.
Vale a dire?
Che se uno ha avuto un padre fortemente autoritario, sente fortissimo
il bisogno di uscire da questa tipologia e lo fa sino a capovolgere
totalmente regole e ruoli. La pericolosità di que-sto meccanismo
è emersa già da tempo agli occhi degli addetti ai
lavori.
Cioè, di che cosa si sono accorti, neuropsichiatri e psicoterapeuti?
Si sono accorti che, se il risultato più patologico che
emergeva dal rapporto con un padre-padrone era un figlio dalla
personalità nevrotica, piena di fobie, il traguardo finale
di una educazione di stampo permissivo è, invece, una personalità
che sfocia nella psicosi. Gravis-sima, difficile da curare. Un
ragazzo cresciuto senza regole, è in preda a quel delirio
d'onnipotenza che lo indurrà a crearsi una realtà
su misura.
Sono quelli che lei chiama i "piccoli re" che detengono,
si, lo scettro ma che sono pro-fondamente infelici, privati della
consolazione e del diritto di essere guidati da adulti responsabili?
Già, la casistica dei "bambini pestiferi" è
vasta, dal bambino enuretico a quello oppositivo, da quello che
"non dà pace" finchè non ottiene ciò
che vuole, a quello che non s'impegna a scuola, o che la vuole
abbandonare
sono tutti ragazzi che hanno sviluppato, da un
lato, la falsa consapevolezza d'essere i più forti e, dall'altro,
tutte le ansie che appartengono a chi, chiamato a comandare, sa
di non essere all'altezza del compito.
Che fine fa, allora, la raccomandazione d'essere "amici dei
propri figli"?
Gli amici li si cerca solo tra i pari; i genitori che sono amici
dei figli, in realtà, li distruggo-no. Il ruolo di un genitore
è quello di essere responsabile, non amicone. Fermo restando
tutto l'affetto di questo mondo, naturalmente.
Secondo lei, cosa spinge un genitore a commettere questo sbaglio?
Molte cose, anche diverse tra loro. I genitori nutrono il grandissimo
bisogno d'essere amati e il dubbio che questo non possa accadere
se si oppongono al volere del figlio. Dal canto loro, i figli
sono bravissimi a giocarsi tale paura; la frase tipica del bambinetto
di pochi anni, nei momenti di crisi è "Non ti voglio
più bene". E, qui, molti genitori vanno in pappa.
Persino molti casi di autismo, sembra di capire, si radicano in
"genitorialità" immatu-re
Beh, l'autismo è ancora una scatola nera. Non si cura.
Certamente, chi ne è affetto è l'onnipotente peggiore
che si trovi in circolazione. Ma io sono convinta che, per questa
ma-lattia, componente psicologica e organica si sovrappongano.
La sua diagnosi non permette troppe scappatoie. Quali reazioni
ha suscitato il libro con cui lei riapre la strada alla direttività?
Le scuole pedagogiche ormai hanno capito; gli insegnanti sono
scoppiati, i genitori disperati. Da parte dei colleghi, poi, ho
avuto belle soddisfazioni.
La soddisfazione principale dev'essere quella di aver aperto un'epoca;
il suo libro, non a caso, è stato molto scopiazzato. Di
quanto coraggio ha bisogno un pioniere?
Non lo so. Io ne ho sempre avuto bisogno, perché dico le
cose più scomode, che alla lunga sono anche le più
tranquillizzanti. Fonte di patologie sono i segreti non detti,
le cose dette a metà, appena abbozzate, trattenute per
far piacere alla gente. Parlando chiaro. Lì per lì,
i ge-nitori se la prendono, ma poi sono rasserenati.
Dovesse suggerire una parola d'ordine?
Sarebbe questa: date ai vostri figli solo certezze, mai dubbi.
Almeno finché sono sotto ai 10 anni. E dopo, che avete
detto qualcosa, siate irremovibili, dei macigni.
Quanto gioca il senso di colpa, nei cedimenti?
Moltissimo. Si è permissivi per farsi perdonare. E questo
è il modo peggiore di "essere pre-senti".
Lei dice che molte cose le si sta capendo, che i genitori sono
disperati e gli insegnati "scoppiati", ma dove pensa
che stia andando la scuola italiana, crediti formativi e ri-forma
Berlinguer al seguito?
Dove? Meglio dire "come". Di male in peggio. È
sempre peggiorata negli anni: fermare un ragazzo non si può;
dirgli chiaramente a che punto è arrivato della sua crescita,
nemmeno. Si arriva all'Università tentando la sorte, pensando
"se va, va". E così, l'adolescenza non fini-sce
mai.