TRE NUOVE MOLECOLE PER LA CURA DELL'ALZHEIMER
|
Dieci anni fa il presidente
degli Stati Uniti Ronald Reagan lanciava una sfida alla malattia
di Alzheimer. Di fronte al fatto che ne sono colpiti oltre 4 milioni
di americani e quasi la metà di coloro che raggiungono
gli 85 anni (già oggi è l'età media delle
donne in Giappone e in Italia), Reagan aumentò il finanziamento
del National Institue of Aging (Nia, Istituto Nazionale dell'invecchiamento)
concentrando la ricerca sull'Alzheimer in 15 nuovi centri con
uno stanziamento di 200 milioni di dollari l'anno.
Oggi il bilancio del Nia è salito ai 600 milioni di dollari,
i centri nazionali di ricerca Alzheimer sono 27 e l'investimento
totale ha superato il miliardo di dollari. Purtroppo un equivalente
sviluppo non si è verificato in Europa. Sei anni dopo la
sua decisione, Reagan dichiarava di essere egli stesso affetto
dalla malattia. E' stato un buon investimento? Si può affermare
che nella storia delle malattie neurologiche (l'Alzheimer è
di gran lunga la più frequente nell'ambito delle malattie
neurodegenerative) non si ricorda un progresso altrettanto rapido
delle nostre conoscenze. Il premio Nobel per la Medicina è
stato assegnato nel 1997ad una scoperta in questo campo (i prioni).
Quattro geni direttamente collegati alla malattia, tra i quali
uno (chiamato Apoe-4) costituente un fattore di rischio notevole
per il 60% della popolazione, sono stati scoperti negli ultimi
5 anni. Il processo di formazione delle placche senili cerebrali,
i cimiteri di cellule nervose che costituiscono la lesione più
caratteristica della malattia, è oggi conosciuto fino a
livello molecolare. I bersagli principali della terapia sono stati
identificati e quest'anno tre nuove molecole entreranno in Usa
ed Europa. Riconoscendo l'eccezionale interesse di tali conquiste,
la Svizzera ospita due congressi internazionali a Ginevra da oggi
al 23 aprile. Il primo è dedicato esclusivamente alla terapia
e alla diagnosi dell'Alzheimer. I tre nuovi farmaci hanno tre
nazionalità diverse; il primo (il donepezil, già
in vendita in Italia) è nato in Giappone ma è stato
sviluppato in Usa; la seconda molecola, la rivastigmina, è
nata in Israele ma è stata sviluppata in Svizzera e Usa;
la terza sostanza, il metrifonato, è nata in Germania ma
è stata sviluppata in Usa. Gli studi su questi farmaci
presentati a Ginevra sono frutto di ricerche eseguite nel corso
degli ultimi 5 anni su oltre 6 mila pazienti in 25 Paesi diversi,
con un costo superiore al miliardo di dollari. Questi studi dimostrano
che i tre farmaci sono in grado di migliorare in modo significativo
il funzionamento cognitivo e la qualità di vita del paziente
rendendolo più attivo e più indipendente durante
i 3 primi anni dopo la diagnosi. Il deterioramento cognitivo del
paziente viene rallentato, per cui si può parlare di farmaci
stabilizzatori della malattia.
Fino a poco tempo fa si credeva che l'effetto delle cure fosse
limitato a soli sei mesi. I dati di due nuovi studi riportati
a Ginevra dimostrano il permanere dell'effetto terapeutico fino
ad oltre un anno. Poiché la spesa annua in Italia per aiuti,
cure e sostegno per chi soffre di Alzheimer (circa 400 mila persone)
è superiore ai 10.000 miliardi di lire (oltre la metà
sostenuta dalle famiglie), è facile calcolare il risparmio
ottenibile a livello nazionale utilizzando tale terapia. Si calcola
che un farmaco che riuscisse a ritardare l'insorgere della malattia
di cinque anni ridurrebbe alla metà il numero dei pazienti
sofferenti.
I tre farmaci presentati a Ginevra hanno un bersaglio biochimico
comune e preciso: il più rapido ed efficiente enzima posseduto
dal cervello, chiamato acetilcolinesterasi. Riducendo l'azione
dell'enzima (per questo sono chiamati farmaci inibitori) fino
ad un 20%, si viene a prolungare notevolmente la vita del mediatore
chimico chiave della memoria, l'acetilcolina, e a rinforzare l'azione
(nel 1982 si scoprì che l'acetilcolina è fortemente
diminuita nel cervello dei pazienti di Alzheimer). Tutti e 3 i
farmaci producono effetti collaterali, ma in genere ben tollerati
(al contrario del predecessore, la tacrina).
Altre tre nuove strategie terapeutiche verranno proposte a Ginevra:
La prima si basa sui risultati ottenuti da studi retrospettivi
(e quindi di valore ancora limitato) su migliaia di donne trattate
in Usa con estrogeni dopo la menopausa. La seconda è il
risultato di un primo studio clinico compiuto negli Stati Uniti
sull'effetto della vitamina E e della selegilina (entrambi ad
azione anti-ossidante). Il terzo approccio è fondato su
osservazioni statistiche retrospettive compiute su migliaia di
soggetti trattati con terapie anti-infiammatorie per disturbi
artritici. I tre studi suggeriscono che trattamenti così
diversi (ormoni estrogeni, farmaci anti-ossidanti e farmaci anti-infiammatori)
potrebbero esercitare un effetto di prevenzione e ritardare l'insorgere
della malattia.
Le terapie future dell'Alzherimer si orientano verso un tentativo
di rallentamento della produzione delle molecole precursori della
sostanza detta amiloide che si deposita irreversibilmente nel
cervello bloccandone la funzione. La conoscenza del gene che favorisce
l'accumulo (la presenilina 1 responsabile di circa il 50% delle
forme familiari della malattia) rappresenta un grande vantaggio
nello sviluppo di questa nuova terapia. Anche per la diagnostica
si attendono notevoli progressi nella individuazione precoce (e
quindi nel trattamento) della malattia.
EZIO GIACOBINI
Da "TUTTOSCIENZE" 15 Aprile 1998