giovedì 9 dicembre 1999

Tre secoli di Clima a Torino
Luca Mercalli, direttore della rivista di meteorologia Nimbus, Torino

Ecco la carta d'identità del clima torinese:

Temperatura media annuale: tra 12 e 13 °C
Mese più freddo: gennaio ( 1.9°C), mese più caldo: luglio (22.5 °C)
Temperatura minima assoluta: -21.1 °C il 26 gennaio 1795
Temperatura massima assoluta: 38.0 °C il 2 agosto 1928
Numero di giorni con temperatura pari o inferiore a 0 °C: circa 70
Quantità di precipitazione annuale: 900 mm (ad Alessandria sono circa 600 e sul Lago Maggiore arrivano a 2500)
Mese di norma più piovoso: maggio (125 mm), mese più asciutto: febbraio (38 mm)
Numero di giorni con pioggia in un anno: circa 80
Quantità di neve che cade in media ogni anno: 48 cm in 8 giorni

Questi sono alcuni dei dati più comuni utilizzati per descrivere il clima di una località, ma ce ne sono altri (direzione e velocità del vento, nuvolosità, radiazione solare…) così come moltissimi sono i metodi di aggregazione statistica: anni, mesi giorni ore, stagioni, decenni, trentenni, secoli. Perché misurare i caratteri fisici dell'atmosfera? E' solo una curiosità per amatori (che tra l'altro esistono e collezionano le temperature come i francobolli o i minerali), o c'è dell'altro? Molto di più. Conoscere il comportamento dell'atmosfera è un'informazione di grande importanza pratica. Per l'agricoltura, ad esempio (scelta delle varietà più adatte, difesa dai fenomeni estremi), oppure - in una città come Torino - per progettare gli edifici nel modo più opportuno (ricordate le auto distrutte dalla caduta di neve dai tetti nel gennaio 1987?), per calcolare gli spessori dell'isolamento termico e il consumo di combustibile da riscaldamento (Italgas e AEM utilizzano ogni giorno le temperature per gestire l'erogazione di gas e di acqua calda nella rete di teleriscaldamento), per progettare le dimensioni delle fognature (quanti tombini scoppiano come bombe durante i forti temporali estivi!), per condurre lo sgombero della neve (quando viene…), per pianificare la data di una manifestazione all'aperto (a maggio meglio di no, piove quasi un giorno su due), per dirimere cause civili e penali (c'era o non cera la nebbia? la strada era gelata o no?), per prevedere quanta acqua avremo nei pozzi e nei fiumi che alimentano l'acquedotto, per tenere sotto controllo le alluvioni e gli eventi catastrofici, come i due terribili uragani che l'11 agosto 1904 e il 23 maggio 1953 danneggiarono e decapitarono la Mole Antonelliana. Questo per gli addetti ai lavori, ma tutti sanno quanto si parli del tempo al bar, al mercato, sul tram (Che freddo! Che caldo! Non smette più di piovere! Piovesse un po' toglierebbe tutta questa polvere!). Eppure, nonostante questa grande popolarità della meteorologia, raramente ci soffermiamo ad osservare le nubi che ogni giorno scorrono sulla nostra testa, e ci dimentichiamo nel giro di un paio di giorni del tempo passato. Ecco perché è importante che qualcuno misuri cosa succede ogni giorno nella nostra atmosfera.
A Torino questo lavoro si fa da quasi tre secoli, un patrimonio di informazioni ancora poco noto e valorizzato che riserva molte sorprese, non solo scientifiche, ma di curiosità storica e di cultura quotidiana.
L'indagine giunta oggi a compimento, è durata una quindicina d'anni. Si era nel 1984 quando iniziammo la sistematica ricerca dei documenti d'archivio e, quasi alla cieca, seguivamo i tenui fili di un'attività un tempo brillante oggi per molti versi trascurata. Ne è nato un archivio di oltre 90.000 giorni di osservazione con circa 360.000 valori numerici: grazie all'informatica si possono ora raccogliere i frutti del silenzioso lavoro portato avanti dal 1753 ad oggi. Si sono trovati manoscritti inediti, splendidi archivi fotografici dai toni seppiati, si sono corretti strafalcioni storici, che purtroppo continuano anche oggi a riproporsi per opera di studiosi un po' troppo frettolosi, si sono ricostruiti i cieli di una Torino ora grigia e nebbiosa come Berlino d'inverno, ora luminosa e brillante come la Costa Smeralda. Ma vediamo i passi più significativi di questo cantuccio di storia.
Circa 10.000 anni fa terminava l'ultima era glaciale. La fronte del ghiacciaio della Valle di Susa, che superava in spessore la sommità della Sacra di San Michele, si ritirava rapidamente lasciando le morene di Rivoli e i laghi di Avigliana. Il luogo dove ora sorge Torino era forse una steppa desolata, con molta sabbia e ghiaia deposta dai disordinati torrenti glaciali e battuta da venti freddi e asciutti. Venne il caldo e crebbero i boschi. Per 8000 anni solo piccoli gruppi di cacciatori videro un clima che noi possiamo solo immaginare con l'aiuto delle indagini di pollini fossili, torbe e sedimenti lacustri. Nel 28 a.C. i Romani fondarono Torino, trovando un clima mite e piuttosto asciutto: gli olivi prosperavano sulle colline. Ma anche con la nuova civiltà, non si hanno, per altri 15 secoli, che sporadiche e imprecise cronache meteorologiche. All'inizio del 1500 il clima peggiora e per quasi 400 anni darà luogo alla nota "Piccola Età Glaciale": è in queste condizioni che si sviluppano le prime osservazioni, grazie alle invenzioni e alla messa a punto, per merito della fiorentina Accademia del Cimento, dei primi termometri, barometri e igrometri (1650).
Donato Rossetti, matematico livornese al servizio della corte sabauda, pubblica nel 1681 "La Figura della neve" una descrizione della forma dei cristalli di neve visti al microscopio. Più tardi, proprio a Torino, prenderà avvio la serie più lunga del mondo di misure quotidiane di neve. Singolari le cronache meteo desunte dal diario di Ludovico Soleri, attuaro del Senato torinese: dal 1682 al 1721, sono centinaia le annotazioni che disegnano un clima più continentale, con lunghe siccità intervallate a brevi piogge intense. Faceva più freddo e la neve, sebbene non abbondante, durava per buona parte dell'inverno, poiché i reali Sabaudi erano usi fare gite in slitta dal Palazzo di Piazza Castello al parco del Valentino. Non mancano nevicate tardive (come quella del 1 maggio 1714, durata 4 ore) e forti venti freddi anche nel cuore dell'estate. Nel gennaio 1709 fece così freddo (circa -20°C) che il Po gelò completamente a San Mauro e lo si poteva attraversare sui carri: non avvenne mai più in seguito. Giambattista Bianchi, medico torinese, ci ha lasciato un curioso diario delle vicende meteo dal 1741 al 1746: citiamo la spaventosa grandinata del 16 agosto 1741 (caduta di alberi, distruzione dei vetri sulle facciate N e W per il vento e la grandine grossa come uova e più, danni ai tetti), e il gelo del gennaio 1745, con neve e forte tramontana, tale da far gelare per diversi giorni l'acqua nelle cucine riscaldate (si fa per dire...). Bisogna attendere il 1753 per l'inizio delle osservazioni regolari: il conte Ignazio Somis, medico di corte, acquisisce misure di temperatura, pressione e stato del cielo, ma non sempre in città, dovendo accompagnare la famiglia reale nelle residenze estive. Le osservazioni proseguono fino al giugno 1793. Ricordiamo uno spettacolare fenomeno: la "nebbia" del giugno-luglio 1783. L'origine non era meteorologica ma vulcanica. Responsabili i gas e le polveri che avvolsero non solo il Piemonte, ma l'intera Europa, emessi dai vulcani islandesi Laki, Skaptar Jökull e Eldeyjar (quest'ultimo al largo dell'Islanda) entrati in eruzione verso l'8 giugno. Nel 1780 abbiamo il primo appassionato di meteorologia della storia di Torino: Giovanni Domenico Beraudo che per vent'anni (fino al 1802) misura temperatura, pressione, neve e per primo, la quantità di pioggia, dapprima nella sua casa presso l'odierna via Pietro Micca, poi al Castello del Valentino. Per la prima volta le osservazioni torinesi vengono pubblicate, anche se per pochi mesi: "La Specola", (1789-90) è il primo periodico meteorologico subalpino. Gran parte delle osservazioni è andata tuttavia perduta. La meteorologia ufficiale di Torino ha inizio nel 1787 con l'apertura dell'osservatorio dell'Accademia delle Scienze, nella via omonima presso piazza S. Carlo. L'edificio e la biblioteca esistono tutt'oggi, ma della specola non v'è più traccia, essendo stata incendiata durante un bombardamento nel 1943 e demolita pochi anni dopo. L'attività assunse particolare vigore sotto la direzione di Antonio Maria Vassalli-Eandi (una via è a lui intitolata presso corso Inghilterra). Questi nel 1802 dà inizio anche alle misure pluviometriche; pubblica dal 1809 al 1811 i primi annali delle osservazioni e, da scienziato illuminista, si cimenta subito con la verifica dei proverbi meteo: in base ai dati degli strumenti, conclude già allora che erano quasi sempre fallaci. Nel 1865 la specola dell'Accademia viene sostituita dall'osservatorio sul tetto di palazzo Madama, già sede dell'osservatorio astronomico della città. Fino al febbraio 1919 Palazzo Madama continua a rilevare i dati con cura pubblicandoli ogni anno (fino al 1915) in bollettini ancora oggi conservati nelle biblioteche cittadine. Nello stesso anno, padre Denza fonda al Real Collegio di Moncalieri, presso l'osservatorio già attivo dal 1859, la prima Associazione Meteorologica italiana, che imprime nuovi stimoli allo studio dell'atmosfera e vede nascere a Torino, qualche anno dopo (1884) una rete di ben 15 stazioni meteo, coordinate dall'Osservatorio Meteo Popolare con sede nella torre quadrata del castello medievale del Valentino (oggi completamente vuota, solo una lapide ricorda i pionieri della meteorologia!). L'osservatorio di Moncalieri è invece ancora in attività. Nel 1919 si decide la demolizione della specola di Palazzo Madama, per restaurarne l'aspetto originario. Intanto l'attività astronomica era stata trasferita da qualche anno a Pino, e qui comincia la decadenza della meteorologia torinese. Nessuna istituzione si assume l'onere di continuare il compito regolarmente portato avanti da oltre 130 anni. Dopo un decennio di rilevamenti inattendibili (per cui si è preferito ricorrere alle osservazioni di Moncalieri), l'Istituto di fisica dell'Università nel 1929 allestisce un ottimo osservatorio in via Valperga Caluso, dove continuerà l'attività fino al 1953. Nel 1927 l'Ufficio Idrografico del Po aggiunge una semplice stazione termopluviometrica presso la propria sede (attualmente nelle vicinanze di Porta Susa). Con gli anni Venti e lo sviluppo dell'aviazione, la meteorologia comincia a spostarsi negli aeroporti: dagli anni '30 al 45 a Mirafiori (oggi CNR), poi in corso Marche (1946-53) e infine a Caselle. Ma oggi, benché compaiano su giornali e TV, questi dati non hanno più nulla a che vedere con quelli della città. Altre stazioni pubbliche e private sono nate recentemente nel territorio comunale (sono una decina), ma nessuna uguaglia la precisione e l'autorevolezza raggiunte dagli antichi osservatori ottocenteschi, né esiste più - ahimè, nell'era dei computer - una pubblicazione sistematica dei dati a disposizione del pubblico.
Vediamo dunque i risultati più significativi di questo lavoro, anche in relazione agli attualissimi studi sui cambiamenti climatici, che trovano nelle serie storiche secolari come quella di Torino un termine di confronto insostituibile. La temperatura è aumentata. Non solo a causa dell'espansione del nucleo urbano, con le auto e le caldaie degli edifici (questo è l'effetto "isola di calore urbano"), ma anche come segnale climatico depurato delle alterazioni locali. Attraverso fasi di crescita alternate a temporanei raffreddamenti, i valori hanno guadagnato 1.9°C da metà Settecento ad oggi, quando si localizzano gli anni più caldi di oltre due secoli. La stagione che ha manifestato in maniera più netta il riscaldamento è stata l'inverno, la cui temperatura media è cresciuta di 2.8°C dall'inizio della serie ad oggi: in questo secolo viene percepito come inverno molto freddo ciò che nel periodo 1753-1785 era accolto come inverno normale o addirittura mite. I totali annui delle precipitazioni a Torino si rivelano nettamente più elevati nel corso della prima metà dell'800, periodo nel quale ha luogo anche il massimo assoluto della serie pari a 1756 mm nel 1810. Nell'ultimo secolo a Torino è piovuto meno, anche se gli episodi di forte intensità continuano a segnare la nostra memoria: basti per tutti l'alluvione del 5 novembre 1994 e per finire il violento temporale della sera del 14 maggio 1998. Anche la neve batte in ritirata. I grandi inverni di fine settecento e inizio ottocento sono solo un labile ricordo: l'inverno 1784-85, totalizzò 233 cm, il solo dicembre 1808, ben 128 cm. Recentemente, solo le nevicate del 1985-86-87, che giunsero al massimo a formare un manto di 50 cm in città, possono essere paragonate a quelle che erano comuni un inverno su cinque tra il 1784 e il 1902. Perdurano invece gli episodi di nevicate fuori stagione, come quella del 27 ottobre 1979 o quelle del 25 aprile 1972 e del 18 aprile 1991.
E il clima della Torino futura? Ogni torinese scarica ogni anno nell'atmosfera circa 5 tonnellate di anidride carbonica, parte di quei 22 miliardi di tonnellate emessi ogni anno nel mondo. Se l'effetto serra farà progressi come previsto dai modelli climatici, spenderemo probabilmente meno per riscaldarci d'inverno, ma di più per rinfrescarci d'estate; non mancheranno gli eventi estremi e fuori stagione, anche se mai si può dire che, nella storia, Torino abbia conosciuto stagioni stabili. Se 18000 anni fa Torino era come Sestriere, fra soli 100 anni potrebbe diventare calda come oggi è Roma, la stagione nevosa diventare discontinua sulle stesse Alpi, il bacino Mediterraneo potrebbe generare cicloni tropicali... La risposta è nei numeri: misurare, misurare, bisogna continuare a misurare.

Luca Mercalli, Gennaro Di Napoli, Luciano Grinza
Società Meteorologica Subalpina, Torino

Biografia di Luca Mercalli

 

 

Per informazioni: Extramuseum

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